Vostra Eminenza Signor Cardinale Matteo Maria Zuppi,
Eminenze, Eccellenze,
Reverendissimi Padri,
Fratelli e Sorelle nel Signore,
Rispondendo con entusiasmo all’invito del nostro amato Fratello, il Signor Cardinale Matteo Maria Zuppi, ci troviamo ancora una volta a incontrare e salutare il Clero di questa Arcidiocesi nella sua annuale Tre giorni del Clero, giorni dedicati in uno spirito di vera comunione, a delineare le linee operative del nuovo anno pastorale.
Ci troviamo a Bologna, infatti, per partecipare al “G20 (Gi Venti) delle Religioni” e abbiamo pertanto accolto questo momento come un evento voluto da Dio per rafforzare i legami tra le nostre Chiese e soprattutto per conoscerci e amarci vicendevolmente, secondo l’insegnamento del nostro unico Signore.
Tre fatti accompagnano questi giorni di permanenza nella Vostra amata e stimata Città e che caratterizzano anche questo nostro incontro.
Il primo, è il fatto di ritrovarci in questa splendida Basilica patriarcale di San Domenico, nella commemorazione degli Ottocento anni dal suo transito ai cieli, e dove sono custodite le sue sante reliquie. San Domenico nasce e opera in una epoca successiva alla dolorosa separazione tra Oriente e Occidente, ma in un ambiente che ancora non aveva completamente metabolizzato le conseguenze della divisione e che ancora riteneva possibile un re-incontro tra le nostre Tradizioni Cristiane. Domenico, infatti, pur figlio della Chiesa d’Occidente, respira una visione della cattolicità e della unità della Chiesa, per la quale è caratteristico il suo atteggiamento per una attività di apostolato, imperniata su dibattiti pubblici, colloqui personali, trattative, predicazione, opera di persuasione, preghiera e penitenza, nei rapporti col mondo della sua epoca. Predicazione, studio, povertà mendicante, vita comune, spedizioni missionarie restano elementi qualificanti di tutta l’opera di San Domenico e certamente suggeriscono anche oggi a tutte le Chiese, atteggiamenti di comprensione e di guarigione della malattia spirituale della umanità e aprono gli orizzonti per una evangelizzazione del mondo, con uno spirito tutto nuovo.
Il Patriarcato Ecumenico, nei primi giorni di questo mese, ha tenuto la Sinassi dei suoi Vescovi a Costantinopoli, proprio per una analisi ed un confronto comunitario sulla nuova evangelizzazione nel Ventunesimo secolo, ma anche per verificare le conseguenze pastorali nei tempi della pandemia e offrire la parola di salvezza ad ogni uomo e donna di questa nostra epoca, con un linguaggio a tutti comprensibile e allo stesso tempo radicato della Tradizione vivente della Chiesa. Come ai tempi di San Domenico vi era la necessità di elaborare nuovi metodi di predicazione, così anche oggi le nostre chiese, hanno necessità di confrontarsi a livello locale, metropolitano e universale sui grandi temi e sulle grandi provocazioni che il mondo contemporaneo presenta all’annuncio evangelico e trovare nel vissuto della Chiesa le risposte per una azione pastorale viva e feconda, fedele al Vangelo e all’insegnamento bi-millenario della Chiesa stessa.
Il secondo elemento dell’incontro è la nostra partecipazione al “G20 per le Religioni”, nell’ambito di un incontro mondiale delle fedi per affrontare le grandi sfide della umanità. Se le Chiese Cristiane si richiudessero oggi in sé stesse, accettando forse solamente una qualche forma di relazione inter-cristiana, ma non un vero ecumenismo che, attraverso il duro lavoro del dialogo teologico, certamente non sempre facile, avesse come faro la obbedienza alla Parola del Signore nella sospirata unità, farebbero un cattivo servizio non solamente alla umanità, ma allo stesso Cristianesimo. Rinchiudersi in sé stessi, nel proprio ambito di influenza, o peggio in qualche ghetto etnico-nazionalistico, significherebbe tradire l’azione vivificante dello Spirito Santo; il dialogo non indebolisce la certezza della propria fede, la tradizione patristica e l’insegnamento evangelico, al contrario, l’incontro con le altre fedi, in uno spirito di collaborazione per la salvezza della umanità dai tanti e troppi conflitti che l’affliggono, diviene strumento di evangelizzazione nel senso più profondo del termine. Vi sono troppi luoghi in cui non vi è una vera libertà religiosa e spesso nei conflitti che ne conseguono, la religione non c’entra, anzi è la prima vittima. Il coraggio di incontrarsi “al di là dei sé e dei ma”, offre la possibilità della conoscenza e del rispetto, che non sono mai cose scontate, e ci da le opportunità per azioni condivise davanti alle grandi urgenze mondiali, dalla pandemia che ci ha resi più vulnerabili e umili, ai conflitti, alla povertà, alla transumanza di intere popolazioni, alle migrazioni, all’edonismo e all’economismo irrispettoso dell’uomo, alla salvaguardia del creato, creato che è dono di Dio per ogni creatura di questo mondo e non solo proprietà e sfruttamento di pochi.
Questo punto che ci interpella oggi, e soprattutto in questo periodo dell’anno, che è dedicato alla preghiera per la salvaguardia dell’ambiente naturale è il terzo elemento del nostro odierno incontro.
Nella nostra Enciclica per il Primo Settembre abbiamo voluto sottolineare che nel tempo della pandemia “le misure restrittive nei movimenti e la imposizione di limiti alla produzione biomeccanica hanno condotto alla riduzione delle sostanze inquinanti e delle emissioni di gas, e ciò ha rappresentato inoltre un insegnamento significativo sulla concatenazione di ogni cosa nel mondo e sulla compenetrazione reciproca di tutte le dimensioni della vita”. Non siamo soli, non viviamo solo per noi stessi, ma siamo una comunità umana che deve sapere convivere con tutte le sue proprie specificità, segno della ricchezza e dono di Dio e dobbiamo saper convivere, rispettare e proteggere la creazione di Dio dal suo primo nemico, l’uomo stesso, quando questi ha dimenticato il suo essere formato a immagine e somiglianza di Dio, Icona di Cristo. Come Cristiani abbiamo una grande responsabilità davanti a Dio e all’umanità tutta, se tradiàmo Dio che col suo soffio ci ha dato la vita in abbondanza e ha dato la vita a tutto e in tutto. Quando celebriamo la Liturgia, quando il pane e il vino vengono trasformati nel Suo Corpo e nel Suo Sangue, in essi offriamo la intera umanità, l’intero creato, l’intero cosmo. Ma se dimentichiamo la umanità, con le sue sofferenze, se offendiamo con le nostre azioni la creazione “assai bella”, se la nostra dimensione cosmica diviene dimensione egoistica, allora abbiamo tradito Cristo. La nostra dimensione ecologica non è una moda dei tempi o una delle tante scienze dello scibile umano, ma è una azione spirituale che esige discernimento, autocontrollo, capacità di sacrificio.
Con questo spirito, abbiamo voluto quest’anno lanciare un Messaggio congiunto per la protezione del creato, unitamente ai nostri Fratelli, Papa Francesco e l’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby, per esortare Cristiani e non Cristiani a comprendere la importanza della sostenibilità, ad affrontare il problema della povertà che deriva anche dagli sconvolgimenti climatici e dall’impatto che essa ha su troppi nostri fratelli ovunque nel mondo. Siamo certi di avere come un imperativo, la cooperazione a tutti i livelli per la soluzione di questi problemi, e siamo anche certi che la nostra più grande arma è la preghiera.
Figli e Fratelli amatissimi nel Signore, concludiamo questo momento di preghiera e questa breve riflessione con voi, con le parole del Messaggio congiunto: “Prendersi cura del creato di Dio è un mandato spirituale che esige una risposta d’impegno. Questo è un momento critico. Ne va del futuro dei nostri figli e della nostra casa comune”.
Il Signore ci benedica tutti.