ISTITUTO ELLENICO DI STUDI BIZANTI E POST-BIZANTINI
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“ELLENISMO ECUMENICO E VENEZIA”
Ιερώτατε Μητροπολίτα Ιταλίας και Μελίτης κ. Γεννάδιε,
Σεβαστά Μέλη της Ημετέρας Συνοδείας,
Αξιότιμε κ. Πρέσβυ Αλέξανδρος Αλεξανδρής,
Ελλογιμώτατε Καθ. Χρήστος Αραμπατζής, Πρόεδρος της Εποπτικής Επιτροπής,
Ελλογιμώτατε κ. Αναστάσιος Θεοφιλογιαννάκος, Αναπλ. Διευθυντή Ελληνικού Ινστιτούτου,
Κύριοι Καθηγητές και Κυρίες Καθηγήτριες,
Illustri Autorità e Gentili Ospiti, Figli amati della nostra Modestia,
Con vivo piacere siamo giunti ancora una volta in questa storica e splendida città di Venezia, la Serenissima, su cortese invito dei Dirigenti dell’Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Post-Bizantini, per inaugurare questo interessantissima Conferenza, dedicata al nostro martire Patriarcato Ecumenico e ai suoi legami e rapporti con Venezia. E non è certo un caso questo importante legame, in quanto Venezia, per molti aspetti, viene giustamente considerata una città bizantina. I rapporti storici della Città di Costantino con la Serenissima, e poi i legami della Grande Chiesa, ed in genere dell’Oriente Ellenistico e Bizantino, risalgono ai primi tempi del Cristianesimo e perdurano almeno fino al dodicesimo secolo, modificandosi in seguito rispetto ai mutamenti storici che ne sono conseguiti.
L’Ellenismo, per sua natura universale fin dai suoi albori, ha influenzato sicuramente le fasi successive della storia antica e anche la cultura moderna. Esso designa la diffusione della civiltà greca nel mondo e contrappone nettamente alla storia e alla civiltà del popolo greco, la storia e la civiltà dei popoli ellenizzati. La formazione della κοινή διάλεκτος, la koiné linguistica, fu un importantissimo strumento della diffusione della cultura greca su un’area ancora più estesa di quella che fosse stato il V e IV secolo a.C.. Non ci soffermiamo sulle implicanze che questo periodo storico ha avuto negli aspetti letterario-culturale, filosofico, storico-artistico e storiografico. Bisogna però evidenziare, per le influenze che ciò ha avuto nelle epoche successive, il suo carattere cosmopolita e allo stesso tempo individualista. Nell’età ellenistica, gli uomini di cultura sono gli uomini di tutto il mondo civile, la sua diffusione non fu mai effimera o superficiale: la cultura ellenistica ebbe una forza di penetrazione che nessun’altra cultura ebbe mai nella storia del mondo. Perfino la città santa, Gerusalemme, la città per ragioni religiose più ostile ad ogni influenza straniera, nel II secolo a.C. fu sul punto di diventare una città ellenistica[1]. Ma l’ellenismo ebbe anche l’aspetto dell’individualismo. Riferendosi alla filosofia epicurea, individualista per eccellenza, essa insegnava all’uomo ad essere felice come un dio nella dolcezza dell’atarassia. L’uomo ellenistico comincia, così, a staccarsi dal mondo a vivere le gioie della contemplazione. Lo stesso stoicismo, che era una filosofia cosmopolita e sociale, aveva alcuni tratti nettamente individualistici. Ci interessa, tuttavia, sottolineare la influenza che esso ebbe sulla cultura religiosa, al punto di assumere forma di pensiero ecumenico fin dalle origini. Esaminando la scuola filosofica dello Stoicismo e la sua influenza “razionalizzatrice” sulla cultura religiosa, è interessante notare il passaggio dalla concezione di “uomo assorbito nella “polis” a uomo elemento del cosmo, l’uomo cosmico appunto, la cui felicità consiste nella capacità di far corrispondere all’universo esteriore il suo interiore più intimo, la volontà individuale”[2]
Allo stesso tempo anche la ellenizzazione del giudaismo porta quest’ultimo “ad assumere modi e forme di vita greci, in un processo di osmosi e acculturazione consapevoli e non passivi: gli intellettuali giudei si confrontano con la cultura greca”[3] e nella diaspora essa metterà le basi alla traduzione della Bibbia in lingua greca, la Traduzione dei Settanta, ancora in uso nelle Chiese Ortodosse di tradizione greca. L’ecumenicità ellenistica si ràdica nei grandi centri, nelle grandi metropoli: Alessandria, Antiochia, Efeso, Pergamo, Laodicea, Rodi e con esso viene a contatto il Cristianesimo delle origini.
Il sorgere del Cristianesimo trova un humus ellenistico fortemente presente in tutti gli stadi della società, dalla filosofia, alla prosa, alla poesia e successivamente nella apologetica e nella patristica.
Uno dei centri culturali più splendidi dell’epoca fu la città di Alessandria, con la sua grande Biblioteca, capitale della poesia e della scienza. La Chiesa alessandrina fu fondata secondo la tradizione da san Marco. I primi maestri cristiani alessandrini noti sono i dottori gnostici Basilide, Valentino, Carpocrate. Alle dottrine del cristianesimo gnosticizzante si contrappose l’insegnamento della celebre scuola catechistica (Didaskalèion) iniziata da Panteno, cui succedettero Clemente, Origene e, dopo l’allontanamento di questo, Eracla, Dionigi, Pietro Martire, Didimo di Alessandria, Rodone. Caratteristiche della scuola in filosofia la tendenza sincretistica su una base neoplatonica, e in teologia l’allegorismo nell’esegesi e il misticismo, che portava a sminuire l’importanza della natura umana di Gesù Cristo. A partire dal IV sec. le controversie teologiche si mischiarono strettamente con quelle politiche ed ecclesiastiche, superando i confini dei singoli vescovadi. Alessandria ebbe in questa situazione la massima importanza, riuscendo con Atanasio, il più celebre dei suoi patriarchi, a contrapporsi efficacemente agli stessi imperatori durante la controversia ariana.
E Alessandria è anche il centro che per primo si collega con queste terre, allora chiamate Venetia et Histria, la provincia X della Gallia Cisalpina, creata durante il principato di Augusto. Nella Historia Longobardorum di Paolo Diacono infatti leggiamo che: “La regione dei veneti infatti consta non solo delle poche isole, che ora chiamiamo Venezia, ma i suoi confini si estendono dalla Pannonia fino al fiume Adda”[4]. Centro di questa regione era la città di Aquileia. Da lei dipartivano la via Postumia che collegava Aquileia con Genova e la via Annia che collegava l’Emilia. Fondata nel 181 a.C. come avamposto militare per il controllo dei confini orientali, Aquileia divenne una vera e propria metropoli che con l’avvento del Cristianesimo iniziò ad avere una importanza strategica nei rapporti tra Oriente ed Occidente. Secondo la leggenda, furono le peregrinazioni evangeliche di San Marco a portare il Cristianesimo in queste terre, il quale nominò suo vescovo Ermagora col diacono Fortunato per evangelizzare la Venetia et Histria. Nonostante che queste informazioni le ricaviamo solo dagli Atti di San Ermagora, datati nel VI-VII secolo, è evidente la influenza alessandrina sulla Chiesa Aquileiese, soprattutto nella Liturgia, così come ci appare dagli scritti di Cromazio di Aquileia. Non dimentichiamo che una grande figura come Atanasio di Alessandria fu ospite[5] del vescovo Fortunaziano di Aquileia, che aveva partecipato al Concilio di Sardica del 343, durante il suo secondo esilio. La presenza di Atanasio diede grande forza alla formazione del monachesimo in questa terra, incoraggiando uomini e donne a vivere nel celibato e nell’esercizio della ascesi. Qui vi soggiornò anche Girolamo, ma la importanza di Aquileia nella Venetia et Histria crebbe maggiormente con il vescovo Valeriano, che gli Atti del Concilio di Roma del 369-372 contro gli ariani, pongono il Vescovo di Aquileia subito dopo quello di Roma. Certamente la Chiesa Aquileiese nascente era una comunità giudeo-cristiana di fondazione alessandrina, che vede accrescere la sua importanza in quanto diede i natali a due importanti figure del II secolo, Erma, il compositore de “il Pastore” e suo fratello Pio, che divenne vescovo di Roma. Un altro importante tassello è anche la recezione della lettera di Giacomo, difesa da Rufino di Aquileia, ma non recepita dagli altri vescovi occidentali. Lo stesso Rufino sarà promotore nella Chiesa Aquileiese della trasmissione dell’opera di Origene, che difese strenuamente dall’attacco di Epifanio di Salamina (circa 393). La tradizione aquileiese si legherà sempre più alla memoria e all’opera di questo importante autore della letteratura e della teologia paleocristiane, che vedrà il suo drammatico epilogo con lo scisma dei Tre Capitoli, a causa dell’Editto di Giustiniano che condannava nel V Concilio Ecumenico i Tre teologi Teodoreto di Ciro, Teodoro di Mopsuesta e Iba di Edessa, per Nestoriansesimo, e per la condanna post mortem di Origene. Il vescovo Macedonio di Aquileia rompeva la comunione con Roma e con Costantinopoli, stabilendo nel 568 con Paolino I° la autocefalia della Chiesa della Venetia et Histria e la sua elevazione alla dignità di Patriarcato, paritetica con Roma e Costantinopoli.
E’ tuttavia importante ricordare anche alcuni esempi che ci sono rimasti delle relazione della Chiesa della Nuova Roma, fondata da Costantino sulle rive del Bosforo con Aquileia già nel IV secolo. E’ la relazione tra Giovanni Crisostomo, arcivescovo di Costantinopoli, con Cromazio, metropolita di Aquileia. Una lettera del Crisostomo traccia il profilo spirituale del vescovo aquileiese: “La tromba squillante della tua carità ardente e schietta è risuonata fino a noi, diffondendo l’eco di grandi imprese a tanta distanza e raggiungendo i confini del mondo, Anche noi, pur se così lontani, conosciamo, al pari di chi ti sta vicino, la tua parola franca, la tua inflessibilità adamantina”[6]. Importante è anche l’intervento di Cromazio a favore di Giovanni Crisostomo, quando quest’ultimo, vittima di congiure di palazzo, fu costretto nel 404 ad abbandonare la sede vescovile di Costantinopoli per prendere la via dell’esilio.
Anche la tradizione dei tre martiri Cappadoci, Sisinio, Martirio e Alessandro inviati dal Crisostomo a San Ambrogio di Milano per il catecumenato e a loro volta inviati a San Viglio di Trento per evangelizzare le terre più a settentrione della Venetia et Histria e lì martirizzati nel 397, sono un esempio della ecumenicità di tipo ellenistico presente allora. Vigilio di Trento invierà le reliquie dei tre Santi martiri ad Ambrogio di Milano e a Giovanni Crisostomo.
Ci siamo soffermati brevemente su questi antefatti storici, per comprendere meglio la loro relazione con la storia delle Venezie, già pervasa di rapporti con le grandi Chiese dell’Oriente.
La nuova capitale sulle rive del Bosforo, la Nuova Roma, la città di Costantino, aveva ottenuto un riconoscimento ufficiale nel Concilio di Calcedonia; essa precedeva le grandi città di Alessandria, di Antiochia e di Gerusalemme, e il suo ruolo era paritario con la Antica Roma. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 e il regno di Teodorico, Costantinopoli mantiene viva le vestigia e le tradizioni romane. Bisanzio riprende la tradizione ellenistica cosmopolita, che ritrova il proprio criterio di identificazione non nel sangue o nella cultura, ma nella cristiana “etnia sui generis” – το Γένος, in quella relazione individuale e di popolo cristiano, propria della relazione cristiana, come evidenziata da Cipriano di Cartagine: “De unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata” (De oratione dominica, 239), una relazione trinitaria, che si manifesta nella “paideia” già presente nei Padri Apostolici.[7]
Giustiniano si arroga il compito di riconquistare la penisola italica e di riorganizzare l’Impero dei Romani dopo la ”guerra gotica”, ma l’Impero viene scosso dall’arrivo dei Longobardi nel 569 che conquistarono tutta la Venetia et Histria, con la sola eccezione delle coste che rimasero in mano bizantina. Fu questo il fatto che spinse i venetici a giungere in laguna, vedendo nel territorio lagunare solamente qualcosa di provvisorio. Tuttavia, secondo alcune fonti, sarà il generale Narsete che comandava l’esercito bizantino in Italia a donare diverse reliquie per le chiese della laguna e che ricordassero i santi della Chiesa d’Oriente, come San Teodoro, primo protettore della città nascente della Nuova Venezia. Altri Santi presenti nella costa veneto-bizantina sono i Santi Minà e Geminiano, San Mosé, San Zaccaria e Santa Eufemia di Calcedonia. Le continue migrazioni di popoli dal Nord, quelle che vengono definite “invasioni barbariche” posero le basi per una diversa posizione della presenza bizantina in questi territori. La caduta di Aquileia fu di vitale importanza per la “seconda Venezia”, quando il patriarca Paolo, che abbiamo ricordato prima, fuggendo dai Longobardi, traslò l’apparato ecclesiastico nel castro di Grado, difeso dal mare, portando con sé il tesoro del Patriarcato. Grado fu denominata Nuova Aquileia, ed era ben protetta dalle truppe imperiali bizantine. Infatti la totale incapacità dei Longobardi di garantirsi una adeguata flotta, permise a Bisanzio di mantenere gran parte dei littorali e delle coste italiche, a discapito dell’entroterra[8]. Giova ricordare la presenza a Grado di vescovi greci come il vescovo Elia, colui che costruì e dedicò la Grande Chiesa alla Martire di Calcedonia, Santa Eufemia, la Chiesa della Vergine Theotokos, tuttora esistenti e sicuramente una Chiesa a San Minà. Importante il tesoro che si è salvato a Grado fino ai nostri tempi e che comprende una considerevole Reliquia di San Pietro di Alessandria, testimonianza dei legami di quella Chiesa con Alessandria. Lo Scisma dei Tre Capitoli , che abbiamo già citato portò ad una duplicazione del Patriarcato di Aquileia, uno longobardo, e quello di Grado, sottoposto all’Impero e quindi legato alla Nuova Roma, e di conseguenza anche alla Nuova Venezia. Sottolineiamo solamente che, quando nel VII secolo, lo scisma fu risolto, si mantennero due sedi patriarcali rivali. Abbiamo in quell’epoca anche il sorgere di nuove sedi episcopali, sottomesse alla giurisdizione del metropolita di Grado, segno dello sviluppo operato da Bisanzio lungo la costa, amministrata dall’Impero, attraverso l’Esarca di Ravenna. Secondo le cronache, l’Imperatore Eraclio donò alla provincia venetica la cattedra dell’Evangelista Marco, che fu posta nella Chiesa di santa Eufemia, la basilica patriarcale di Grado. In questo modo anche Costantinopoli confermava la tradizione marciana di questa Chiesa. Anche la Chiesa della Theotokos a Torcello viene accostata all’imperatore Eraclio, come la nuova città di Eraclea. In quanto enclave bizantina, la nuova Venezia continuò a crescere. La costruzione della cappella del Doge, dedicata a San Marco, sulla falsa riga della Chiesa dei Santi Apostoli a Costantinopoli, la traslazione del corpo di San Marco, fanno di Venezia la sede di un ducato bizantino governato da funzionari imperiali, che continuavano ad utilizzare lo stesso sistema in voga nei secoli precedenti, Costantinopoli non è percepita come un invasore ma come il restauratore della romanità imperiale, la Ρωμηοσύνη cosmopolita della Βασιλεύουσα.
La crescita di Venezia fa parte della sua storia e il legame con Bisanzio continuerà dentro questa storia. Meritano una citazione ulteriori due momenti che hanno caratterizzato il legame religioso della metropolia di Grado e quindi di Venezia con la Grande Chiesa a Costantinopoli. Tra il 774 e il 775 fu creata una nuova sede episcopale a Olivolo, l’attuale Castello. Essa venne affidata al vescovo greco Cristoforo. Secondo la tradizione, al Vescovo Cristoforo fu affidato il compito di tradurre in latino l’Inno Akathistos, la preghiera dedicata alla Theotokos, affinché fosse cantato nelle Chiese della metropolia di Grado e compreso dal popolo che non parlava il greco.
Il secondo momento che ci fa comprendere il peso della storia di Venezia in rapporto all’Oriente è una lettera del Patriarca di Antiochia Pietro, nell’XI secolo, indirizzata al Patriarca di Grado Domenico, ormai residente a Venezia, in cui viene contestato il titolo di Patriarca. Scrive Pietro di Antiochia: “Non è scritto da alcuna parte che il Vescovo di Grado (Aquileia), ossia di Venezia, sia chiamato Patriarca. Sappiamo infatti che nel mondo ci sono cinque patriarchi, Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Poiché dal momento che il nostro corpo ha cinque sensi, allo stesso modo il Corpo di Cristo, la Chiesa dei Fedeli, ha cinque Troni che sono come i cinque sensi.”[9]
La incoronazione di Carlo Magno nel Natale dell’800 da parte del Papa e l’attribuzione del titolo “Imperatore dei Romani”, rompe la sinfonia imperiale e questo comporterà lentamente lo sgretolamento della influenza bizantina su Venezia. Essa continuerà in un modo diverso, attraverso la sua potenza come Republica Marinara, la presenza veneziana a Costantinopoli e le sue relazioni dopo l’Impero con il nuovo Impero Ottomano. E’ singolare alla fine di questi brevi pensieri, ricordare che il Papa Eugenio IV, il papa del Concilio unionista di Ferrara-Firenze era Veneziano[10].Ma siamo nel 1431.
Il passaggio pertanto dall’ellenismo ecumenico alla Venezia cosmopolita avviene attraverso Alessandria, che in epoca Cristiana coinvolgerà Aquileia prima, Grado successivamente, la Nuova Roma-Costantinopoli, per completarsi nella storia della città del secondo millennio.
Grazie per l’attenzione.
NOTE E RIFERIMENTI
[1] Gennaro Perrotta. Disegno storico della letteratura Greca.
[2] R. Radice. La vocazione umanitaria della filosofia ellenistica con particolare riferimento agli stoici.
[3] L. Troiani. Ellenismo e Giudaismo. Convergenze e divergenze.
[4] P. Diacono. Historia Longobardorum.
[5] Cromazio di Aquileia. Sermoni Liturgici.
[6] G. Crisostomo. Lettera 155 (PG 52,702)
[7] Werner Jaeger. Cristianesimo primitivo e paideia greca.
[8] Nicola Bergamo. Venezia Bizantina.
[9] Massimo di Sardi. Il Patriarcato Ecumenico.
[10] Giorgio Fedalto. Cristiani entro e oltre gli Imperi.